La musa latina (1a parte)

Divina Venere,
dea suprema beltade
(que bella scoperta!)
in animo hominis omnia bellum
generandi, ego te cogito costante
sic ut mens deficit et etiam me
rincitrullit in maniera impressionante,
quia habeo in omne attimo perpetuo
semper presente ante oculi imago
dulcis musa in splendida veste quae,
in sottoveste illuminante, me facit
parler aussi en francaise e je
la regard comme superieure femme
autre que la premier dame!
 
Ego sum espertus in hoc campo quia in iuventude fuit petite viveur, parvus latin lover paesanus lungi ab delfino padano in nomine patris et filius senatur, et tantum plus lungi ab divino, immortale, universale Silvio, homo nomber one, qui facit dannare et peccare etiam santus aureus (Santoro per i profani) usque partorire sacrilego travaglio marcus (Marco) et malefico et maldicente vignettista (Vauro).
Semper ego, ut ex viveur terra terra, pour vivre les derniers jours de la vie iam tantum pallida et nigra, mihi bastat boccata aera pura et occhiata dulcis musa sine alia intesa, pretesa et ulla impresa solum intercalando ossigeno vitale et dolcezza pura, bellum ideale.
Sed nunc, lingua gallica fugendo et postum tantum parlare cum verba inutili per declinare sermonem serium, mea magna dea, solum bella idea, venendo inter nos, ispirat me pauperum (parvus homo, pallosus maritus, fallitus pater familias, infimus medicus mutua) in magno latino, prolifica lingua et verbum ispiratum probi et illustri viri antiqui!
 
Et sic, ubi est maior lux,
apparit excelsa Musa,
quae suaviter scientiam
docet sub veste angelica,
oculi illuminando
(ut mirabilis imago
ab celeste regia domus)
et auricole delitiando
(sicut cantus sirene)
cum sua melodiosa voce.
D'incantum terapia sanat,
malum passat, omnia cessat
et minor medicus primum imparat,
deinde curat, denique signat,
ut infimus medicus mutuae
aut familiae (ipsa idem res),
sub dictat sic et sempliciter:
 
per iper tensione nifedipina, per iper glicemia cum obesitade (scientia appellat hodie sindrome metabolica la vulgaris panza!) necesse marciare quotidie celeriter devorando minus farina et panis cum parva metformina. Postremo, si vetustas in circolatione post summa magnatoria (ut more solito per avida et arida materia sine nullo spirito), quoad vitam facit mirabilia “aspirina” cum “statina”, plus ultra “amore in coscienza” est premium vitae eternae sed mala tempora currunt.
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L’umana commedia (ultima parte)

Questa fantomatica fiamma è proprio l'anima che da tempo io ricerco ed a questo punto mi sovviene pure che la ghiandola pineale (epifisi) si trova proprio in questi paraggi. Da antico tempo ritenuta l'occhio della visione spirituale, l'epifisi potrebbe essere la sede più idonea dell'anima che, nel corso degli anni, per i tanti mali che affliggono la terra si è andata sempre più atrofizzando.
 
Ma vuoi vedere che proprio a me, apripista dell'era spirituale, è stato concesso l'anteprima di questa magica veduta? E così, nell'appropinquarmi a questa minuscola struttura, noto con gran meraviglia che da essa fuoriesce un fascio di luce così intenso da illuminare, dalla testa in giù, l'intera sagoma corporale senza antipatiche prominenze... pensa un po' non hai più la pancia!
Questo vero fantasma corporale è il tuo abito interiore di luce firmato e ben visto da lassù, ma se per cieca caparbia pensi solo a te stesso ed alla solita materialità, questo abito luminoso a firma impareggiabile man mano si spegnerà e non sarà più presente agli occhi di lassù:
 
se a te da sempre piace
il vestito in terra firmato
dal più famoso stilista
per mantener le distanze
e mostrare agli altri
la tua gran potenza;
povero te, non pensi
per niente al tuo avvenire
che è solo il nulla
ed il buio della materialità.
Fatti invece furbo
e segui questo mio consiglio,
mantieni sempre splendente
anche il tuo abito interiore
per il tuo stesso avvenire,
che è solo di vera luce.
Andando indietro nel tempo
il sommo poeta così si pronunciò:
Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare.
 
Quel trasparente velo di fasci luminosi che copre dolcemente la tua splendida anima, quasi accarezzandola, è l'umana sensibilità per essere un poco diversi almeno dalle bestie, che spesso sono più sensibili degli stessi lor padroni, tant’è che il maestro Dante dall’alto così tuonò:
 
Fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtude e canoscenza.
 
Dopo tutti questi ragionamenti tra fantasie, follie e poesie un minimo di verità pur ci sarà, e vi assicuro che questa volta non scrivo per farmi compagnia, ma per lanciare un messaggio al mondo al limite della follia!
Rimbocchiamoci allora le maniche perché l’avvenire della terra sia davvero splendente con il Sole che ci accompagna, ci protegge e guida verso infiniti orizzonti di luce sotto l’agognata bandiera del mondo finalmente in pace.
Seppur stia parlando con tanta serenità, i miei fratelli ancora si spaventano e, vedendomi immerso nella scrittura, mi costringono a prendere le solite medicine del disturbo bipolare, che ti fa passare dalla depressione con il silenzio e il vuoto dell’anima, alla euforia o esaltazione con smanie e manie di grandezza.
Io questa volta, pur scrivendo ispirato, non mi sento più euforico o esaltato e questa mia serenità deriva da questo viaggio appena concluso, che mi ha illuminato con quella fantastica visione dell'anima in anteprima e, in virtù di tanto, mi sento in smagliante forma spirituale con il cuore pervaso di gioia e d’amore.
Questa mia bella esperienza la voglio condividere con voi perché, ormai, non è più tempo di risentimenti e rancori. Queste fameliche belve gemelle, invidia (Eva) e gelosia (Elena), mali biblici ed epici dell'umanità, non possono più convivere e covare nel nostro profondo io, proprio in quel sito firmato dal divino, che sprigiona tanta energia vitale. Guai a rivolgerla al male, porterebbe solo odio incancellabile di una malefica volontà, ispirata da quel poveretto di Satana in vergognosa, proditoria attesa di povere creature per aver così loro compagnia al buio, tra urla e svariati odori, finanche nauseante acredine, per non parlar del bruciore: che prodigio questo inferno con tutti i tuoi sensi intatti!
 
Spendi invece bene la vita
e ti risveglierai all’ombra
del tuo stesso creatore,
miracolo è anch’essa luce
ed allora qui è paradiso
dove tutti saremo se,
al pari del nostro corpo,
con esercizio di quotidiana catarsi
di sera o di mattina, faremo pulizia
di queste nostre benedette coscienze,
sì che il loro naturale colore,
riflesso accecante di infinito splendore,
dia luce mettendo alla luce
la vera umanità che si alimenta
e produce amore alla luce della luce.
Che misterioso fascino
e sorprendente premio
è il mistero della divinità.
 
Cari miei lettori, or che mi avete conosciuto nei miei intimi recessi, devo rivelarvi un segreto: io sono stato l’unico uomo sulla terra ad essere stato già in paradiso. Avevo per padre un angelo, il più bello mai esistito in terra, che per troppe amarezze si trasferì in cielo. Vedendo, però, il suo primogenito prediletto soffrir della sua stessa malattia, col divin permesso e le chiavi del buon Pietro, scese in terra e lo portò in braccio lassù in paradiso; con le mirabili cure del caso, dopo breve lasso di tempo lo riportò a casa. Questo evento, poiché mi consideravano folle, non l’avevo ancora rivelato: chi mai avrebbe creduto una tale verità?
Or che finalmente sono in gran forma spirituale e figli e fratelli non si spaventano più, ecco che vi racconto, di certo lo vorrete sapere, il luogo dove sono stato che si chiama paradiso:
 
vivevo sospeso in aria
nello splendore della luce
solare tra il celeste dei cieli
e l’azzurro dei mari,
per poi riposar coperto
dalla volta celeste e cullato
finanche dalle onde marine
nell’armonioso silenzio
della pace divina.
E di certo avete già indovinato
l’angelo che mi stava accanto...
è un uomo che da sempre sogno
e che mai mi abbandonerà,
mio padre l'angelo Raffaele.
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L’umana commedia (4a parte)

Al tempo di oggi, infatti, gli insegnamenti dei genitori sempre più spesso vengono a mancare per motivi di lavoro, ed in questo vuoto si inserisce la televisione (e i telefonini) che, noncurante di tutto, nell’ottica dell’audience manda in onda programmi per diventar famosi (o l'isola dei famosi) e li rinchiude, addirittura, per giorni e giorni in una casa. Inoltre la tv odierna è anche palcoscenico e cattedra di psicologia e psichiatria col fior fior dei professori che spiegano la vita in diretta, quando non è presa da pettegolezzi sui soliti personaggi.
Ed allora viva l’eredità che ti spinge a ragionar anche per la soluzione di eventi delittuosi (Chiara, Sara, Yara) senza arma né movente e col DNA a complicar l’indagine. Di certo non son gialli con due soli personaggi, vittima e presunto colpevole con nervi sempre saldi ma, se non c'è coscienza, vi sarà mai verità?
Meglio le pene terrene dell’umana giustizia che l’eterno rammarico per il divin giudizio e ve lo dice uno di ritorno dall'aldilà tra scenari di sogni, fantasie, follie e veri film luce.
Comunque da via Poma a Garlasco, siam tutti dei Maigret, oltre che commissari tecnici di una nazionale che, senza più aborigeni nella serie superiore, a stento si mantiene a galla. Per nostra gran fortuna abbiamo la Pellegrini in vasca, ma se i neri imparano a nuotare, anche in piscina per noi bianchi sarà dura e, ironia della sorte, per una questione di fibre (muscolari) bianche!
Tra tutte queste digressioni mi accingo a salire il monte e, se Dante vi trovò la lupa, io mi sono perso tra le anastomosi dei vasi ed a questo punto trovare la strada giusta diventa un vero rompicapo. Per fortuna mi sovviene il canale vertebrale e, seguendo il decorso del midollo spinale, in un breve lasso di tempo arrivo al 4° ventricolo, al cui apice imbocco uno stretto canale con su scritto acquedotto di Silvio.
E proprio nello squallore di questa periferia corticale mi sovviene Silvia del Leopardi:
 
Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea
 
e qui la mente difilato (e sfinita) vola a Silvio e alla sua bellezza immortale con quella faccia così stirata senza la minima piega. Da qui comincia pure a declamar “Silviade” dall'Eneide se il nostro Presidente, emerito rappresentante della stirpe italica e vero amante latino, non a caso è il diretto discendente dei Silvi, di Enea e di Venere, dea della bellezza:
 
Cantami, o musa,
le gesta di Silvio che l'umanità
condusse nell'era della pace.
Si narra che fosse così bello
e seducente da fare innamorare
chiunque incrociasse.
Nell'umana veste di pater familias,
con occhio attento anche agli eredi,
di padre-padrone prese sembianze e,
con il paese mortificato da prodi invasori,
da padreterno finanche
così profferì: Italia rialzati,
paragonandola a Lazzaro
da tempo in decomposizione!
Nella sacra veste, poi, di Mosè
divise l'italica mandria,
vero mare in tempesta,
su due sponde opposte e,
da buon pastore, indirizzò il suo gregge.
Io, dall'alto delle mie ispirate vedute
con queste scritture, lo vedo persino
vestire i panni del biblico Noè
con il gravoso compito di traghettare
sulla nostra meravigliosa arca,
magico stivale adagiato in acque chete,
il mondo intero nell'era della pace...
 
Dopo questo breve amarcod (amaro ricordo) del Cavaliere, lungo l'acquedotto di Silvio sono arrivato al 3° ventricolo cerebrale, struttura diencefalica di vitale importanza, dal momento che sulle sue sponde si espande il talamo, letto nuziale dove si genera la vita con l'apoteosi dei sensi. Proprio il talamo, infatti, è una vera stazione sensitiva con arrivi e partenze, mentre appena un poco più giù c'è l'ipotalamo, cabina di pilotaggio della vita a partire dall'ossitocina (ormone del parto e della fedeltà) fino all'ormone antidiuretico (ADH), che spegne la fiammella della vita terrena ma non certo la fiamma spirituale.
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L’umana commedia (3a parte)

Come è bella la struttura di questo nobile organo che presidia la mente e presiede la coscienza e la conoscenza in virtù delle sue molteplici funzioni. Da lontano, tra gli innumerevoli lobuli, puoi intravedere il luccichio degli occhi di feroci belve, le famigerate iene, che si nutrono di sangue umano ed in alcuni punti, fissando gli occhi a terra, se osservi attentamente hai la sensazione che anche il suol si muove. Causa di tal prodigio sono le perfide talpe che, scavando nelle fondamenta di questa mirabile architettura, per incessante lavorio al buio sotto terra, infine, fanno crollare tutto, trasformando questa nobile struttura in un triste ammasso di pietre e calcinacci:
 
obbrobriose bestie,
con la vostra cattiveria
siete capaci di trasformar
poveri esseri umani nella testa,
con un' abominevole pancia
in un fisico ridotto all’osso
e, con quel color giallo
carico negli occhi,
i pazienti si spaventan della loro
stessa immagine allo specchio.
 
Che strazio per noi medici impotenti non poter far davvero proprio niente! Maledette assassine, a voi non mi avvicino non già per paura, vi schiaccerei all’istante sotto i miei piè, ma per il ribrezzo che da sempre mi scatenate.
Adesso che mi son finalmente sfogato, il luogo da ricercar per un meritato riposo, visto che in questa zona epatica manco se ne parla, si potrebbe trovar in questi paraggi negli alloggi renali, ma poi, pensandoci bene, quel continuo fruscìo dei calici renali per il sangue da filtrare in ogni momento, sai che gran fastidio per queste mie povere orecchie. Se sei stanco con pensieri fissi anche un piccolo rumore diventa assordante e al tempo stesso sempre più insopportabile.
Ed allora l’unico posto dove poter riposare rimane il monte là in alto, ovvero il cervello con tutti i suoi misteri, forse anche la sede più idonea dove si cela l’anima. Chissà se anch’essa si avvale del presidio epatico in qualche suo momento, se quaggiù sulla terra da sempre si parla di sporche coscienze all’interno dell’anima e il fegato, pertanto, potrebbe ad esse restituire l'originale candore. Ricordo di aver scritto, un bel dì, una poesia che, parlando dell’anima, recitava così:
 
col torrente circolatorio
sono andata per ogni dove
dando ovunque mia presenza.
Dalla valle del vostro pascolo
risalendo la grande porta
nel filtro epatico mi soffermavo
per acquisir candor limpido lucente,
nucleo centrale della mia essenza.
 
Questa poesia (la dimora dell'anima), davvero tanto ispirata, vi spiego come è nata. La saggezza dei napoletani suol dire: “chi rorm’ nu' piglia pesc” ed io, da buon napoletano per diletto pescatore, gran parte delle mie scritture le ho realizzate agli albori quando la pesca riesce meglio.
Pur tuttavia talora ti vien rabbia perché non senti toccata e rimani con fogli bianchi e penna in mano; tal’altra, invece, senti toccate interessanti ma il peso della lenza è per la profondità dell’amo. Tirandola su, infatti, la senti sempre più leggera e tiri in barca un povero pesciolino che subito ributti in acqua. Nel caso della poesia, dopo fogli e fogli di scrittura senza vera convinzione, alla fine di tanta fatica li prendi in mano e li butti via.
Ma andando a pesca (e scrivendo), senza apprensione e solo per rilassarmi, nel riavvolgere la lenza (il pensiero) una grande toccata (l'ispirazione) mi fece perdere l’equilibrio sulla barca buttandomi a mare. Per fortuna il pesce (la scrittura) non lo persi perché la lenza (il pensiero ispirato va subito trascritto) era attaccata a prua, vicino all’àncora.
Parlando allora di poesie è meglio chiarire questo concetto: se i figli sono il più bel dono della vita, frutto dell’amor di due genitori, solo con la poesia pure la paternità diventa certa!
Intanto sto per lasciare il crocevia epatico e proprio sopra di me, nel posto dove mi trovo, passano tre arterie variopinte (dal rossastro al bluastro al giallo verdastro) tra loro parallele ed anch’esse parte integrante di questo stupendo scenario architettonico.
Finalmente è giunto il momento di salire sul monte e vuoi vedere che proprio lassù, in qualche recondito anfratto si cela la nostra introvabile anima?
Se davvero ciò accadesse, sai che gran successo con tanti geni che si son sempre arresi a questo mistero dell’umanità!
Il solo pensiero di questa fantasia mi ispira follia, tra tanti osanna e gloria chi mi fermerebbe più?
Durante una lunga carriera di centravanti-ala, una sola volta feci un gol anche in sforbiciata; non so all’epoca quanti amici perdetti perseguitati da una tale impresa che io sempre raccontavo. Anche il mio presidente prete per poco non mi bastonò!
Da sempre faccio lo sbruffone per scaricare così una vita sofferta ed al momento, pensando ai nostri figli, un’ansia mi assale per il loro avvenire.
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