Follie epatiche (ultima parte)

E fu sì, con questo sfogo,
nel folle turbinìo
di tal letal pensieri,
che infin riconquistai
la mia viva coscienza.
Nel retro rivoltandomi
ancora io vedea
quell’immane baratro
che a piè pari saltai
e che ad ogni mortal
è sempre alfin fatal.
Ed ancor tutto tremante
per quello strenuo salto
che tutto mi rallegro:
io, unico mortale,
di essere tornato infine
dagli irreversibili limiti
della follia epatica.
Che sempre ti fa stare,
solo tra te e te,
facendoti paventare
e mostri e spie e iene,
su per oscuri confini,
non ben delimitati,
che in ansia ti mantengono
con ritmi circadiani.
Perché tra ansiose notti
che il dì in parte spengea
e poi mi ritornava
con il calar del sole
l’ansia ingravescente
che poi si approfondava
col buio della notte,
tornando le ansiose notti
che il cerchio completava.
In siffatti circuiti
la mente imprigionata
di tal pazza follia,
giammai si liberava
ed infin la pietà divina
di questo si turbò
e per quell’immenso baratro
di nuovo mi buttò
di fronte a tante e sempre
di nuovo amorevolezze,
che lascian imperterriti alcuni,
talaltri fingendo fingono
almeno di assaporarle.
Ma il pazzo impenitente
tutte se le beveva,
procurandosi quel danno,
dianzi irreversibile,
da cui financo uscii
per superior bontà.
Or finalmente in me
nella mia primiera ragione,
come potrò in esse
mai più recidivare,
se al cor non si comanda
nel bene e nel cattivo;
per non vederle proprio,
da solo me ne andrò:
per valli, monti e cieli,
per laghi, fiumi ed oceani,
di nuovo correrò
sol dietro a quella sfera
di cuoio inebriante
ed ancor leggerò un libro,
capendo le parole,
perché si che questa è vita,
non certo le follie
dei pur passati dì.
 
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